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È così sorprendente la natura del mistero cristiano - Dio non solo si fa uomo, ma diventa per gli uomini addirittura Pane da mangiare - che spesso è più eloquente descrivere questo paradosso nel linguaggio della poesia, dove parabola, mito e simbolo possono forse avvicinarsi alla realtà spirituale con maggior successo della semplice descrizione teologica. Sia il cristianesimo orientale che quello occidentale hanno magnifiche tradizioni di poesia religiosa che sono state indebitamente trascurate, soprattutto in occidente, alla ricerca di un tipo di teologia più cerebrale; tuttavia oggi per noi sta forse diventando più chiaro che talvolta proprio il poeta può essere il miglior teologo. Questo riconoscimento, tuttavia, non è niente di nuovo, tanto che uno dei più grandi poeti-teologi cristiani - sebbene dei meno conosciuti - è un rappresentante del primo cristianesimo orientale, morto già più di 1600 anni fa in quello che oggi è un angolo remoto della Turchia sud-orientale. Efrem è un poeta che combina una sorprendente maestria tecnica con una ricchezza di immaginazione che a volte è quasi mozzafiato nella sua applicazione. Vissuto prima del periodo in cui le Chiese di lingua siriaca furono sottoposte ad una forte ellenizzazione, egli è uno dei pochi rappresentanti superstiti di una cristianità veramente semitica, e attraverso i suoi scritti egli dispiega quell'amore tipicamente semitico del parallelismo e delle antitesi, che nelle sue mani si dimostra uno strumento straordinariamente adatto ad esprimere i vari paradossi del mistero cristiano.